Non è stata una gran partita. La partita più attesa del weekend europeo ha deluso le attese ma ha consegnato una nuova capolista, lo United, e confermato, una volta di più, l'incapacità di fare il salto di qualità dell'Arsenal. Basta un gol fortunoso di Park a risolvere una sfida giocata su ritmi medio-alti ma piena zeppa di errori insoliti per i protagonisti in campo. Il Manchester fa valere la sua vigoria atletica ma fatica a costruire lì davanti con il solo Rooney a lottare con una giornata storta e i centrali dei Gunners. L'Arsenal è soffocato dal pressing degli avversari e non si esibisce mai in quella ragnatela di passaggi che nelle migliori giornate potrebbe far male a chiunque. Ebbene sì, potrebbe, perché quando la banda di Arsene Wenger affronta una grande puntualmente si blocca. Per ora si accontenta di vincere, e ogni tanto capitolare, con squadre di medio livello. Il primo tempo offre un tiro al volo di Nani terminato a lato alla destra di Szczesny, il gol nel finale di Park con la torsione che impenna il pallone e lo spedisce in rete e poco altro.
La ripresa è più vivace, i londinesi devono recuperare ma non sembrano trovare grossi spazi per far male. Mai un guizzo, mai una giocata. L'unica, è un destro non irresistibile di Nasri che Van der Saar tocca verso Chamakh, l'attaccante calcia ma Vidic si distende e salva a portiere battuto. Poco prima Szczesny si era opposto in uscita su Anderson. Al 73' i Red Devils hanno un rigore a disposizione decretato per un fallo di mano di Clichy: Rooney calcia in tribuna ma trova un bel colpo a tre minuti dalla fine con un pallonetto in corsa ben smanacciato dal portiere dei Gunners.
Il Manchester United balza in testa alla classifica tenendosi a due punti l'Arsenal e il Manchester City di Mancini, a tre il Chelsea che affronterà domenica prossima. di Gianni Trevi
Il gioco, suggerisce Gigi Garanzini a Radio24, sarebbe quello di trovare altre partite della storia del calcio che hanno presentato la stessa qualità di quella vista, ammirata, assaporata lunedì sera al Camp Nou. Ognuno ricorda la sua partita e dalla memoria calcistica di ognuno ne saltano fuori tante, tantissime. Ma a scremarle con giudizio ne rimangono ben poche. E forse le solite. Si cita il 6 a 3 inflitto dall'Ungheria di Puskas e Hidegkuti all'Inghilterra in quel di Wembley, il 5 a 2 del Brasile nella finale mondiale del '58 contro i padroni di casa svedesi, il 5 a 0 del Milan di Sacchi al Real Madrid (ancora!) nella semifinale di Coppa Campioni '89 e una partita che in pochi ricordano: il 4 a 0 che l'Ajax di Cruijff inflisse al Bayern Monaco nell'andata dei quarti di finale di Coppa Campioni del 1973. Il Bayern, che schierava tra le sua fila Beckenbauer, Maier, Muller, Breitner resse a fatica un tempo d'innanzi alla squadra più forte dell'epoca. I lancieri, bicampioni d'europa e futuri vincitori anche di quella edizione della coppa, stordirono letteralmente i bavaresi con un pressing incessante e lucido a ridosso dell'area avversaria. Il palleggio tecnico e rapido fece girare a vuoto i mediani teutonici, le continue sovrapposizioni sfiancarono la retroguardia, gli stop and go addormentarono e accesero la partita a seconda delle convenienze. Nella ripresa la doppietta di Haan diede inizio al crollo, le reti di Muhren e di Cruijff lo impressero negli annali.
Il calcio totale olandese era al suo apice e quella sera suonò la sua musica migliore. Durò un'altra stagione, fino alla finale persa nel Mondiale tedesco 1974 contro i padroni di casa. di Gianni Trevi
Puro spettacolo. Uno spettacolo divino che ha schiantato il Real Madrid del nuovo corso mourinhano ma già il più forte degli ultimi anni. Doveva essere una gara equilibrata, combattuta, dal risultato indeciso. E' stata, da parte catalana, una dimostrazione di forza totale. La difesa blanca, che avrebbe dovuto rimbalzare gli attacchi di Messi e co. per rilanciare l'azione di rimessa in un credo tanto caro a Mourinho, è stata aperta con una facilità irrisoria dal gioco rapido, arioso, a tutto campo del Barcellona, con tutti i suoi interpreti in serata di grazia e qualcuno anche di più. Il Real non è incappato in una giornata storta, non si è dimenticato di scendere in campo ma è stato spazzato via dal rettangolo verde con le armi più belle che si possono ammirare oggidì in un terreno di gioco: verticalizzazioni e palleggio, palleggio e verticalizzazioni. Lo fanno in tanti, nessuno come la formazione di Guardiola. Quando sono in serata, e capita spesso, i blaugrana non cedono mai alla giocata di fino autoreferenziale. La tecnica dei molti talenti in squadra, nessuno solista, è finalizzata a creare lo spazio necessario per far partire il pallone affinchè raggiunga un compagno già in rampa di lancio. Schemi semplici ma di difficile attuazione, bisognosi di lavoro e costante oliatura. Schemi mandati a memoria fin dalle giovanili, dove si gioca il medesimo calcio della prima squadra. Con l'ingresso di Jeffren, erano nove i canterani del Barça, giocatori della cantera, del vivaio allestito nella Masìa. Guardiola e il suo staff stanno sublimando il lavoro di anni, che già aveva dato ottimi frutti, sfruttando una generazione di giocatori forse irripetibile, iniziato da Cruijff e l'ex-presidente Nunez nel 1979. Quando, a fine anni '80, Cruijff torna in Catalogna per allenare la prima squadra può contare sui primi talenti come Amor, Sergi, Guardiola, De la Pena. Con Van Gaal debuttano Xavi e Puyol, Rijkard lancia Messi e Bojan. Guardiola porta in prima squadra Pedro e Busquets. Cantera gana cartera ha intitolato El Mundo Deportivo l'indomani del 5 a 0, della manita. Il vivaio sconfigge il denaro. E aldìlà della demagogia che suona un po' come buoni contro cattivi non si può non sorprendersi contenti, estasiati per una filosofia calcistica che cerca di coniugare il business con il romantico, il marketing con la passione e quindi, ritrovarsi soddisfatti per la vittoria del Barcellona contro l'album di figurine, strepitose, fenomenali (e tra le molte in campo spiccava un assenza, importante, Higuain) del Madrid. Giocatori fortissimi bisognosi di una guida pragmatica e vincente come quella di Mourinho che però hanno dovuti inchinarsi di fronte alla maestria di ragazzi, molti appena sopra i 170 cm, dalla tecnica perfetta e dalla filosofia di gioco spettacolare. di Gianni Trevi